Il titolo Telecom recupera in Borsa, ma non abbastanza da riprendersi dal crollo del giorno prima quando le quotazioni sono crollate di quasi il 24% a poco più di 21 centesimi ed è cambiato di mano il 13,5% del capitale ordinario. Oggi il titolo, tra scambi che hanno coinvolto ancora più del 9% del capitale, ha chiuso a 22,2 centesimi, +4,82%, comunque ancora lontano dai 27,8 centesimi di mercoledì sera, prima della caduta.
Il presidente Tim,
Salvatore Rossi, ha convocato un consiglio straordinario domenica, su richiesta dell’ad Pietro Labriola, proprio per esaminare la situazione. La società sta valutando anche di dare al mercato maggiori chiarimenti sul piano, in particolare sui numeri del debito che hanno alimentato le preoccupazioni degli investitori.
La Consob, come di prassi in queste occasioni, sta facendo le sue verifiche: troppo presto però per trarre conclusioni. Tuttavia la seduta di giovedì, mentre era in corso a Roma l’incontro del management Tim con la comunità finanziaria per la presentazione del piano, ha seguito un andamento particolare, con ribassi pesanti per tutto il giorno e il precipitare delle quotazioni in chiusura con il raddoppio delle perdite, da livelli di -11% al finale di quasi -24%.
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Quando nel marzo del 2008 Franco Bernabè aveva presentato il suo primo piano al ritorno alla guida di Telecom, la giornata dell’incontro con gli investitori era stata funestata da una reazione molto negativa del mercato, anche se non tragica come quella di ieri, col titolo che aveva chiuso in ribasso di oltre il 9%. Qualche giorno dopo si era scoperto che le banche che avevano in pegno il 3,7% residuo ancora in mano a Hopa avevano scaricato sul mercato le azioni perchè erano saltati i parametri. Vivendi ha messo la sua partecipazione pari al 23,75% tra quelle disponibili per la vendita, denunciandone ancora il possesso integrale al 1° marzo nelle slide presentate agli analisti nel corso della conference call che si è tenuta giovedì alle 18,15 per illustrare i dati di bilancio. Se ci fosse qualche movimento relativo alla quota dei francesi (o qualche derivato collegato) la Consob dovrebbe essere in grado di appurarlo.
Resta il fatto che il diluvio di vendite si è innestato su una “sorpresa” sui numeri del debito che ha spiazzato gli analisti e le loro previsioni, causando incertezza e nell’incertezza, come noto, il mercato prima di tutto vende, poi semmai si pente. Quello che è successo su questo fronte lo riassume bene un report di Intermonte, che riprendiamo. Scrivono gli analisti di Intermonte che la pietra dello scandalo è stato 1 miliardo di debito in più nella base di partenza di fine 2024. Tim resterà un player integrato almeno fino a giugno, gestendo la rete fissa come nella configurazione attuale, e continuerà quindi a pagare interessi su tutto il debito e a bruciare cassa. Tim indica oggi un rapporto net debt/Ebitda uguale o inferiore a 2 per fine 2024, che si traduce in 7,6 miliardi di debito netto a fine anno contro i 6,6 miliardi che derivavano dal consensus precedente degli analisti. Questo, accompagnato alle sfidanti previsioni del piano sulla crescita dell’Ebitda, proietta a fine 2026 un indebitamento netto di 1,6/1,7 volte l’Ebitda, vale a dire 7-7,5 miliardi. Costi di ristrutturazione legati al personale, alti interessi e uscita di working capital faranno sì che il gruppo continui a bruciare cassa anche nel 2024, con uno strascico anche sul 2025 e solo dal 2026 possa dire di tornare a generare davvero cassa, a patto di mantenerle promesse sul progresso dell’Ebitda. Gli analisti vogliono chiarezza sui numeri perchè nella confusione della tempesta della borsa le spiegazioni non sono state esaurienti.
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